Attivare i fondi di riserva per salvare dalla crisi le grandi imprese.

Le grandi imprese? Non hanno bisogno di finanziamenti bancari, possono attivare i loro fondi di riserva che sono superiori agli importi finanziabili garantiti in parte dallo Stato.

Per chi non lo sapesse i fondi di riserva sono quelle immobilizzazioni di utili imposti dalla legge, dallo statuto oppure dall’assemblea per assicurare la stabilità del capitale sociale di fronte alle oscillazioni dei singoli esercizi e per dotare la società di nuovi mezzi finanziari.

Le riserve, sono iscritte in bilancio come fondi, l’accantonamento delle riserve è una misura di normalizzazione con la quale le aziende cercano di ridurre le scosse dell’andamento aziendale, fronteggiare i rischi futuri e difendere l’integrità e la consistenza del capitale.

La legge fa obbligo alle società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, di creare un fondo di riserva, prelevando dagli utili di ogni esercizio una quota non inferiore al ventesimo degli utili stessi sino al raggiungimento del quinto sul capitale sociale.

Invece di sparare parole altisonanti, quello che serve alle imprese, in questo tragico momento, sono contributi a fondo perduto, al netto d’imposte o tasse di qualsiasi genere, di quanto stanno perdendo e/o perderanno.

Decreto Cura Italia: a chi spetta l’indennità di 600 euro

Da oggi 1 aprile, è possibile fare richiesta  online per ottenere l’indennità di 600 euro prevista dal decreto Cura Italia per i professionisti e i lavoratori autonomi.  Le domande potranno essere inviate anche nei giorni successivi al 1 aprile.

Si pubblicano  le istruzioni fornite dall’INPS sui requisiti richiesti per ottenere l’indennità e sulla modalità di richiesta con la circolare n. 49/2020, pubblicata sul sito.

Possono accedere al bonus:

Lavoratori iscritti alla gestione separata

    • i liberi professionisti con partita IVA attiva alla data del 23 febbraio 2020 compresi i partecipanti agli studi associati o società semplici con attività di lavoro autonomo di cui all’articolo 53, comma 1, del T.U.I.R., iscritti alla Gestione separata  dell’INPS;
    •  i collaboratori coordinati e continuativi con rapporto attivo alla predetta data del 23 febbraio 2020 e iscritti alla Gestione separata dell’INPS (quelli che versano l’aliquota contributiva piena, in misura pari al 34,23%).

Ai fini dell’accesso all’indennità, le predette categorie di lavoratori non devono essere titolari di un trattamento pensionistico diretto e non devono essere iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria (es.Inps, Inpdap, casse professionali ecc).

Lavoratori autonomi

Il beneficio spetta ai lavoratori autonomi iscritti alle gestioni speciali dei commercianti, artigiani e coltivatori diretti, mezzadri e coloni dell’INPS. Anche questi soggetti non devono essere titolari di un trattamento pensionistico diretto e non devono essere iscritti ad altre forme di previdenza obbligatoria (es. casse professionali) ad esclusione della gestione separata dell’Inps. Tra i beneficiari sono compresi anche i soggetti obbligatoriamente iscritti alla gestione autonomi commercianti oltre che alla previdenza integrativa obbligatoria presso l’Enasarco.

Lavoratori stagionali del turismo

L’indennità di 600 euro è riconosciuta anche ai lavoratori dipendenti stagionali dei settori del turismo e degli stabilimenti termali che abbiano cessato il rapporto di lavoro nell’arco temporale che va dal 1° gennaio 2019 alla data del 17 marzo 2020. A tal fine l’Inps informa che farà fede l’ultimo rapporto di lavoro intercorso nel predetto arco temporale e che detta cessazione sia avvenuta con un datore di lavoro rientrante nei settori produttivi del turismo e degli stabilimenti termali, come individuati nei codici ateco riportati nella Circolare. Ai fini dell’accesso all’indennità i predetti lavoratori non devono essere titolari di un trattamento pensionistico diretto e non devono essere titolari di rapporto di lavoro dipendente alla data del 17 marzo 2020.

Indennità lavoratori agricoli 

L’indennità è attribuita anche agli operai agricoli a tempo determinato (OTD) e le altre categorie di lavoratori iscritti negli elenchi annuali (compartecipanti familiari, piccoli coloni e piccoli coltivatori diretti) purché possano fare valere nell’anno 2019 almeno 50 giornate di effettivo lavoro agricolo dipendente e non siano titolari di pensione.

Indennità lavoratori dello spettacolo 

L’indennità è riconosciuta, inoltre, ai lavoratori dello spettacolo iscritti al Fondo pensioni dello spettacolo, che abbiano i seguenti requisiti: 1) almeno 30 contributi giornalieri versati nell’anno 2019 al medesimo Fondo; 2) che abbiano prodotto nel medesimo anno un reddito non superiore a 50.000 euro; 3) detti lavoratori non devono essere titolari di un trattamento pensionistico diretto né di rapporto di lavoro dipendente alla data del 17 marzo 2020.

Nessun cumulo

L’indennizzo non è cumulabile con un trattamento di pensione diretta (non è di ostacolo, invece, la titolarità di una pensione ai superstiti) a carico di qualsiasi ente di previdenza obbligatoria (anche le casse professionali), nè con l’ape sociale o con l’assegno ordinario di invalidità. L’indennizzo non è altresì cumulabile con il reddito di cittadinanza. Gli indennizzi, ovviamente, non possono essere cumulati tra loro nel caso un soggetto rispetti contemporaneamente i requisiti per diverse categorie di lavoratori.

Non è di ostacolo, invece, la cumulabilità con altri ammortizzatori sociali quali la naspi, la dis-coll o la disoccupazione agricola al ricorrere, ovviamente, dei rispettivi requisiti di legge. La cumulabilità è altresì garantita con le erogazioni monetarie derivanti da borse lavoro, stage e tirocini professionali, nonché con i premi o sussidi per fini di studio o di addestramento professionale, con i premi ed i compensi conseguiti per lo svolgimento di attività sportiva dilettantistica e con le prestazioni di lavoro occasionale nei limiti di compensi di importo non superiore a 5.000 euro per anno civile. L’Inps non lo specifica ma si ritiene che il bonus sia parimenti cumulabile anche con le prestazioni di invalidità civile, con l’indennizzo per la cessazione definitiva dell’attività commerciale nonchè con l’assegno sociale.

Come presentare la  domanda

La domanda di accesso al beneficio si presenta all’INPS esclusivamente tramite via telematica utilizzando come credenziali di accesso il PIN (sia ordinario che dispositivo); lo SPID di livello 2 o superiore; la Carta di identità elettronica 3.0 (CIE) o la Carta nazionale dei servizi (CNS). Stante il carattere emergenziale delle prestazioni, come già anticipato nei giorni scorsi, è stata reso possibile presentare domanda anche previo inserimento della sola prima parte del PIN dell’Inps, ricevuto via SMS o e-mail subito dopo la relativa richiesta del PIN (procedura semplificata), senza attendere la comunicazione delle ulteriori cifre.

In alternativa al portale web, le stesse tipologie di indennità una tantum, di cui alla presente circolare, possono essere richieste tramite il servizio di Contact Center integrato, telefonando al numero verde 803 164 da rete fissa (gratuitamente), oppure al numero 06 164164 da rete mobile (a pagamento, in base alla tariffa applicata dai diversi gestori). Anche in questo caso, il cittadino può avvalersi del servizio in modalità semplificata, comunicando all’operatore del Contact Center la sola prima parte del PIN. Il rilascio del nuovo servizio verrà comunicato prossimamente.

Per informazioni, consulenze, assistenza anche legale scrivere a: info@pecorarogiovanni.it

 

 

Decreto Legge “Cura Italia” (D.L. n. 18 del 17 marzo 2020). Precisazioni in materia di segnalazioni alla Centrale dei rischi [pdf, 160.9 KB]

Il Decreto Legge 17 marzo 2020, n. 18 recante “Misure di potenziamento del servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” all’art. 561 prevede che le imprese, come definite al comma 5 – in relazione alle esposizioni debitorie nei confronti di banche, di intermediari finanziari previsti dall’art. 106 del d.lgs. n. 385 del 1° settembre 1993 (Testo unico bancario) e degli altri soggetti abilitati alla concessione di credito in Italia – possono avvalersi dietro comunicazione di alcune misure di sostegno finanziario.

Tra le suddette misure, il comma 2 dell’art. 56 prevede che:

  • lett. a) “per le aperture di credito a revoca e per i prestiti accordati a fronte di anticipi su crediti esistenti alla data del 29 febbraio 2020 o, se superiori, a quella di pubblicazione del presente decreto, gli importi accordati, sia per la parte utilizzata sia per quella non ancora utilizzata, non possono essere revocati in tutto o in parte fino al 30 settembre 2020”;
  • lett. b) “per i prestiti non rateali con scadenza contrattuale prima del 30 settembre 2020 i contratti sono prorogati, unitamente ai rispettivi elementi accessori e senza alcuna formalità, fino al 30 settembre 2020 alle medesime condizioni”;
  • lett. c) “per i mutui e gli altri finanziamenti a rimborso rateale, anche perfezionati tramite il rilascio di cambiali agrarie, il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre 2020 è sospeso sino al 30 settembre 2020 e il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione è dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti; è facoltà delle imprese richiedere di sospendere soltanto i rimborsi in conto capitale”.

    Gli intermediari dovranno tenere conto di queste previsioni ai fini delle segnalazioni alla Centrale dei rischi.

    In particolare, si precisa che nel caso di imprese beneficiarie della previsione di cui all’art. 56, co. 2, lett. a) e b) del citato decreto, nella segnalazione della relativa posizione debitoria si dovrà tener conto dell’impossibilità di revocare in tutto o in parte i finanziamenti in discorso o della proroga del contratto; gli intermediari pertanto non dovranno ridurre l’importo dell’accordato segnalato alla Centrale dei rischi.

    Nel caso di imprese beneficiarie della sospensione ex art. 56, co. 2, lett. c) del citato decreto, nella segnalazione della relativa posizione debitoria si dovrà tener conto della temporanea inesigibilità dei crediti in discorso, sia in quota capitale che in sorte interessi (ove prevista). Coerentemente, per l’intero periodo di efficacia della sospensione, dovrà essere interrotto il computo dei giorni di persistenza degli eventuali inadempimenti già in essere ai fini della valorizzazione della variabile “stato del rapporto”.

    Analoghi criteri segnaletici dovranno essere seguiti in relazione ad altre disposizioni del suddetto decreto, ad altre previsioni di legge, ad accordi o protocolli d’intesa che prevedano

    1 “Misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia di COVID-19”. 1

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l’impossibilità di revocare finanziamenti o il beneficio della sospensione dei pagamenti relativi a finanziamenti oggetto di segnalazione alla Centrale dei rischi.

In ogni caso, con riferimento alle disposizioni normative suindicate, il soggetto finanziato non potrà essere classificato a sofferenza dal momento in cui il beneficio è stato accordato.

FONTE BANCA D’ITALIA

DECRETO-LEGGE 17 marzo 2020, n. 18 – Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19 (GU Serie Generale n.70 del 17-03-2020).

Si pubblica una breve sintesi delle principali misure di carattere fiscale.

Questo decreto oltre che di sostegno alle famiglie ed alle imprese, offre un largo  pacchetto dedicato al fisco.In aggiunta allo slittamento delle scadenze di Iva e Irpef, c’è la sospensione di versamenti e di termini di molti versamenti a carico di professionisti e imprese.

Sospensione, senza limiti di fatturato, per i settori più colpiti, dei versamenti delle ritenute, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria per i mesi di marzo e aprile, insieme al versamento Iva di marzo. I settori toccati sono: turistico-alberghiero, termale, trasporti passeggeri, ristorazione e bar, cultura (cinema, teatri), sport, istruzione, parchi divertimento, eventi (fiere/convegni), sale giochi e centri scommesse.

Sospensione dei termini degli adempimenti e dei versamenti fiscali e contributivi per contribuenti con fatturato fino a 2 milioni di euro (versamenti IVA, ritenute e contributi di marzo).

Differimento scadenze – per gli operatori economici ai quali non si applica la sospensione, il termine per i versamenti dovuti nei confronti delle pubbliche amministrazioni, inclusi quelli relativi ai contributi previdenziali ed assistenziali ed ai premi per l’assicurazione obbligatoria, dal 16 marzo viene posticipato al 20 marzo.

Disapplicazione della ritenuta d’acconto per professionisti senza dipendenti, con ricavi o compensi non superiori a euro 400.000 nel periodo di imposta precedente, sulle fatture di marzo e aprile.

Sospensione sino al 31 maggio 2020 dei termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso, da parte degli uffici dell’ Agenzia delle Entrate.

Sospensione dei termini per la riscossione di cartelle esattoriali, per saldo e stralcio e per rottamazione-ter, sospensione dell’invio nuove cartelle e sospensione degli atti esecutivi.

Premi ai lavoratori: ai lavoratori con reddito annuo lordo fino a 40.000 euro che nel mese di marzo svolgono la propria prestazione sul luogo di lavoro (non in smart working) viene riconosciuto un premio di 100 euro, non tassabile (in proporzione ai giorni lavorati).

Introduzione di incentivi e contributi per la sanificazione e sicurezza sul lavoro: per le imprese vengono introdotti incentivi per gli interventi di sanificazione e di aumento della sicurezza sul lavoro, attraverso la concessione di un credito d’ imposta, nonché contributi attraverso la costituzione di un fondo INAIL; analoghi contributi sono previsti anche per gli enti locali attraverso uno specifico fondo.

Donazioni COVID-19 – la deducibilità delle donazioni effettuate dalle imprese ai sensi dell’articolo 27 L. 133/99 viene estesa; inoltra viene introdotta una detrazione per le donazioni delle persone fisiche fino a un beneficio massimo di 30.000 euro.

Affitti commerciali – a negozi e botteghe viene riconosciuto un credito d’imposta pari al 60% del canone di locazione del mese di marzo.

Disposizioni in materia di trasporto stradale e trasporto di pubblico di persone, per contrastare gli effetti derivanti dalla diffusione del Covid-19 sugli operatori di servizio di trasporto pubblico regionale e locale e sui gestori di servizi di trasporto scolastico, nonché di trasporto navale, come l’esenzione temporanea dal pagamento della tassa di ancoraggio delle operazioni commerciali effettuate nell’ambito di porti, rade o spiagge dello Stato e la sospensione dei canoni per le operazioni portuali fino al 31 luglio 2020.

Disposizioni di sostegno agli autoservizi pubblici non di linea, con un contributo in favore dei soggetti che dotano i veicoli di paratie divisorie atte a separare il posto guida dai sedili riservati alla clientela.

La sospensione fino al 31 maggio 2020 dei versamenti dei canoni di locazione e concessori relativi all’affidamento di impianti sportivi pubblici dello Stato e degli enti territoriali per le associazioni e società sportive, professionistiche e dilettantistiche, che operano sull’intero territorio nazionale.

Clicca per l’integrale decreto

CORONAVIRUS: ISOLAMENTO FORZOSO DELLO STUDIO

AVVISO AI CLIENTI

Stante l’emergenza sanitaria in atto e visto il D.P.C.M. dell’8/3/2020, si comunica la sospensione di ogni attività dello studio per assenza del personale  fino al 3 aprile 2020. Si fa riserva di prolungare la sospensione in funzione dell’evolversi dell’emergenza e dell’adozione di eventuali ulteriori misure di sicurezza.

 

La dichiarazione di fallimento effetti

Con il fallimento vengono meno tutti i mancati professionali, lo dice la sentenza della Cassazione Civile, sez. I, sent. n. 4795 del 24/2/2020

Motivazione:

“Ritiene questo Collegio che in caso di fallimento del mandante, il mandato difensionale conferito con la procura ad litem, in considerazione delle sue peculiari caratteristiche, non sia soggetto alla disciplina del mandato in generale di cui alla L. Fall., art. 78 comma 2.

Infatti, per effetto della dichiarazione di fallimento, il mandato difensionale prestato nelle controversie non aventi natura personale per il fallito non entra né in una fase di sospensione in attesa che il curatore eserciti la facoltà di cui alla L. Fall., art. 72 – come ritenuto dal decreto impugnato – né è caratterizzato dall’ultrattività, come, invece, invocato dal ricorrente, bensì si scioglie immediatamente.

Ciò può evincersi sia dalla L. Fall., art. 43, comma 1, secondo cui il fallito perde per effetto della dichiarazione di fallimento la legittimazione processuale in tutte le controversie non aventi natura personale, sia dall’art. 43, comma 3 legge cit., secondo cui l’apertura del fallimento determina automaticamente l’interruzione dei processi (di merito) in corso.

L’ultrattività del mandato – intendendosi per tale la possibilità del difensore di continuare a compiere gli atti processuali in nome e per conto del cliente, che trova la propria fonte nel potere discrezionale del professionista di dichiarare o meno (in quella fase del giudizio) la causa interruttiva – non ha luogo in caso di dichiarazione di fallimento atteso che, proprio perché l’interruzione del giudizio di merito è automatica e deve essere dichiarata dal giudice non appena sia venuto a conoscenza dell’evento, la stessa è sottratta all’ordinario regime dettato in materia dall’art. 300 c.p.c.. (cfr. Cass. n. 9016/2018; Cass. n. 5288/2017).

Né può invocarsi il principio di ultrattività del mandato in ipotesi di dichiarazione di fallimento intervenuta nel corso di un giudizio di cassazione solo perché l’apertura del fallimento non comporta l’interruzione del giudizio di legittimità, fondandosi la mancata interruzione di tale giudizio esclusivamente sull’impulso d’ufficio che lo caratterizza (vedi recentemente Cass. n. 27143/2017).

In proposito, sin dalla lontana pronuncia delle S.U. n. 11195/1992, questa Corte ha osservato che “… l’argomento sulla cui base la dottrina e la giurisprudenza sono contrarie all’operatività dell’istituto dell’interruzione è costituito dal rilievo che il giudizio di cassazione, una volta instauratosi con la notificazione del ricorso e con il deposito dello stesso, è dominato dall’impulso d’ufficio, sicché non possono operare eventi, previsti dagli artt. 299 c.p.c. e ss., che – nel giudizio di merito ispirato al principio dispositivo – determinano l’interruzione del processo…”. Peraltro, la citata sentenza delle S.U., nel contrastare l’orientamento di quella dottrina e quella giurisprudenza che ritenevano che, in presenza degli eventi di agli artt. 299 c.p.c. e ss., l’unico mezzo attraverso cui realizzare il diritto di difesa costituzionalmente garantito fosse appunto quello di procedere all’interruzione del processo, allo scopo di consentire il ripristino dell’effettività del contraddittorio ed una efficiente rappresentanza tecnica delle parti nel processo, ha argomentato in questi termini:

Le stesse osservazioni possono farsi per il giudizio di legittimità.

E’ ben vero che in tale giudizio, dominato dall’impulso d’ufficio, esistono una serie di attività che presuppongono la presenza del difensore, ma la circostanza che il legislatore non abbia previsto, proprio per tale motivo, la rilevanza degli eventi di cui all’art. 299 c.p.c. e ss., non induce né ad applicare in via analogica le norme predette, ostandovi il divieto dell’art. 14 preleggi, né ad affermare l’incostituzionalità di tale mancata previsione, dovendosi invece ritenere che la struttura del giudizio di legittimità impone un particolare onere di attenzione per la parte, sicché è da dire che la mancata osservanza di quest’onere, per fatti relativi al procuratore come nel caso di specie – ricadono sulla parte stessa che non si è attivata per ovviare alle conseguenze derivanti da eventi che essa avrebbe potuto e dovuto conoscere…”.

Emerge quindi con chiarezza dall’insegnamento della citata pronuncia, le cui conclusioni sono state (anche tralaticiamente) confermate in tutte le pronunce successive fino ai nostri giorni, che la mancata interruzione del giudizio di legittimità a seguito del verificarsi di uno degli eventi di cui all’art. 299 c.c. e ss. o della L. Fall., art. 43 non dipende affatto dalla dedotta (dal ricorrente) ultrattività del mandato difensivo – che è invece venuto inesorabilmente meno – ma dall’impulso d’ufficio di tale giudizio, la cui struttura impone a ciascuna parte (privata della assistenza tecnica) un particolare onere di attenzione, gli effetti della cui inosservanza ricadono sulla stessa parte.

Ne consegue che, a seguito della dichiarazione di fallimento intervenuta nel giudizio di legittimità, il legale cui era stato precedentemente conferito mandato ad litem, proprio perché (nelle controversie non aventi natura personale del fallito) è definitivamente venuto meno il rapporto professionale che lo legava alla parte assistita, non ha più alcun titolo per proseguire la propria attività difensiva.

È quindi priva di pregio l’affermazione del ricorrente secondo cui al comportamento omissivo posto in essere dal curatore (dopo essere stato notiziato della pendenza del giudizio di cassazione in cui patrocinava lo stesso ricorrente) non potrebbe attribuirsi altro significato se non la volontà di prosecuzione dell’incarico.

Tale assunto si pone, altresì, in netto contrasto con la disciplina del mandato al procuratore legale del fallimento prevista dalla legge fallimentare (vedi L. Fall., artt. 25 e 31), che costituisce una fattispecie complessa di procura alle liti che si perfeziona con il concorso di tre distinti atti, uno (solo) dei quali – a seguito della riforma del diritto fallimentare del 2006 – è demandato alla competenza del giudice delegato (autorizzazione a stare a giudizio, da concedersi per ogni grado) e gli altri due alla competenza del curatore (nomina e rilascio della procura al difensore).

L’incarico al legale che patrocinava la società poi fallita prima della dichiarazione di fallimento non può quindi attribuirsi certo per effetto del comportamento omissivo del curatore, il quale, come sopra anticipato, non è comunque dotato di capacità processuale autonoma, essendo questa integrata dall’autorizzazione del giudice delegato (vedi Cass. n. 26359/2014).

Accertato quindi che il legale nominato dalla società (poi fallita) quando era ancora in bonis non ha titolo per richiedere il compenso per l’attività giudiziale eventualmente prestata una volta intervenuto il fallimento – anche se tale attività è stata prestata in sede di legittimità – va, tuttavia, osservato che non può condividersi la valutazione dei giudici di merito di ultratardività del credito insinuato dal legale (che era dovuto quantomeno per l’attività difensiva svolta prima della dichiarazione di fallimento).

Infatti, tenuto conto che non constano precedenti specifici sulla questione che ha formato oggetto del presente procedimento e che il caso esaminato dai giudici di merito presentava la peculiarità che il legale ricorrente aveva continuato a patrocinare nell’ambito di un giudizio di cassazione – che non si interrompe per effetto della dichiarazione di fallimento – deve ritenersi che il ritardo da parte del ricorrente nella presentazione dell’istanza di insinuazione allo stato passivo fosse allo stesso non imputabile.

Il ricorrente, infatti, confidando che il suo mandato difensivo non si fosse sciolto per effetto della dichiarazione di fallimento, non ha immediatamente presentato l’istanza di insinuazione per il credito maturato fino alla dichiarazione di fallimento ritenendo erroneamente, ma in una materia che non era stata ancora esplorata – che il suo mandato difensivo fosse cessato solo in coincidenza della conclusione del giudizio di cassazione.

Deve quindi cassarsi la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Siracusa, in diversa composizione, per nuovo esame e per statuire sulle spese del giudizio di legittimità.

5. Il secondo ed il terzo motivo sono assorbiti”.

Cassazione: Il fondo patrimoniale non è ipotecabile

La Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 5369 del 27 febbraio 2020, ha stabilito che l‘Agenzia entrate e della riscossione non può iscrivere ipoteca sui beni del fondo patrimoniale se il debito del contribuente proviene dalla sua partecipazione societaria e non è stato contratto per soddisfare i bisogni della famiglia.

FATTO:

Un piccolo imprenditore che si era indebitato con il fisco per via di una partecipazione societaria che non era neppure il suo sostentamento ma semplicemente un investimento. Quindi aveva condotto i suoi beni in un fondo patrimoniale. Il fisco aveva prima notificato l’accertamento e l’Agenzia delle Entrate- Riscossione, aveva avviato la riscossione con l’iscrizione dell’ipoteca. Il contribuente ha incassato subito la nullità della procedura con verdetto reso ora definitivo in sede di legittimità. Ad avviso dei giudici della Cassazione, la Commissione di appello ha ritenuto che il contribuente abbia provato che i beni facevano parte del fondo patrimoniale, attraverso documenti; e inoltre che abbia certificato non solo la circostanza della estraneità dei debiti alle esigenze della famiglia, ma anche che l’amministrazione finanziaria era in condizioni di rendersi conto di tale estraneità, poiché desumibile dal fatto stesso che si tratta di debiti derivanti dalla partecipazione quale mero socio di capitali ad una certa società, investimenti distinti dalla attività lavorativa, svolta nell’ambito di altra e diversa ditta che è invece quella da cui la famiglia trae sostentamento. Ciò anche perché l’art. 170 c.c., nel disciplinare le condizioni di ammissibilità dell’esecuzione sui beni costituiti nel fondo patrimoniale, detta una regola applicabile anche all’iscrizione di ipoteca non volontaria, ivi compresa quella di cui all’art. 77 del dpr. n. 602 del 1973, sicché l’esattore può iscrivere ipoteca su beni appartenenti al coniuge o al terzo, conferiti nel fondo, se il debito sia stato da loro contratto per uno scopo non estraneo ai bisogni familiari, ovvero, nell’ipotesi contraria, purché il titolare del credito, per il quale l’esattore procede alla riscossione, non fosse a conoscenza di tale estraneità, dovendosi ritenere, contrariamente, illegittima l’eventuale iscrizione comunque effettuata.